Assunzione in partita iva, è possibile? 

Stefano Melli
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“Il colloquio è andato bene, ma mi chiedono di aprire partita iva”. Come comportarsi davanti a una richiesta come questa? Esistono molteplici datori di lavoro che richiedono l’assunzione in partita iva, nonostante sia evidentemente una contraddizione. Infatti in capo alla stessa persona non può esserci contemporaneamente un rapporto di lavoro autonomo e uno subordinato
Assumere un dipendente in partita iva è una pratica illecita che permette al titolare d’azienda di risparmiare su contributi previdenziali, TFR, IRPEF ed eventuali indennità previste dai contratti nazionali o aziendali. Il titolare di partita iva dovrà in autonomia versare contributi e tasse in funzione del proprio regime fiscale.

Va da sé che non sia corretto privare un lavoratore autonomo della propria libertà professionale. In questi casi, il libero professionista ha facoltà di rivolgersi a un giudice del lavoro per farsi riconoscere i diritti riservati ai lavoratori subordinati.

Come riconoscere un caso di lavoro subordinato in partita iva?

Al fine di smascherare i casi di falsa partita iva esiste la presunzione di subordinazione, nel caso in cui siano presenti alcuni indici rivelatori di un rapporto di lavoro subordinato. Questi indici portano a descrivere la collaborazione come estremamente elementare e ripetitiva, ed è ritenuta concreta quando sussistono almeno due dei seguenti parametri:

  • la collaborazione non duri oltre 8 mesi annui, per due anni consecutivi;
  • il corrispettivo derivante dalla collaborazione costituisca l’80% del fatturato del      collaboratore in due anni solari consecutivi;
  • esista, negli spazi aziendali, una postazione fissa riservata al collaboratore.

Un altro fattore per cui può esistere il dubbio su questa tipologia di collaborazione è l’accordo orario e non a progetto, anche se questo parametro non rientra tra i presupposti considerati per la presunzione di subordinazione.

È sempre escluso che un lavoratore dipendente abbia Partita Iva?

Assolutamente no, esistono casi in cui è possibile che un lavoratore subordinato eserciti anche la libera professione, a patto che questa non sia in concorrenza con l’azienda con cui ha un contratto di lavoro in essere. 

Nel caso di un contratto con azienda privata, non è necessario avvisare il datore di lavoro della propria attività da freelance (se non specificato a contratto); al contrario per i dipendenti pubblici è necessario avere un contratto di lavoro che richieda un impegno settimanale inferiore alle 18 ore e l’autorizzazione della propria azienda diventa necessaria.Questo perché molto spesso, nel settore pubblico, vige il principio di esclusività tale per cui un lavoratore presterà le proprie competenze o la propria manodopera solamente per l’azienda che l’ha assunto. 

Inoltre, per poter aprire partita iva in regime forfettario, è necessario che l’anno precedente non si abbia percepito una RAL pari o superiore a 30.000€ come lavoratore subordinato.

Cosa fare se viene richiesta la Partita Iva a fronte di un lavoro subordinato?

Non esiste una risposta corretta a questa domanda, ma sicuramente ne esiste una sbagliata: accettare senza riflettere. Scegliere di assecondare questa dinamica significa permettere al prossimo datore di lavoro di toglierci i diritti ottenuti nell’ultimo secolo in ambito lavorativo e di non godere di quelli del freelance, come la libertà di orario o di poter lavorare dove è più conveniente per motivi professionali o personali. Un lavoro a tempo pieno non permetterebbe nemmeno di trovare altri clienti, quindi di iniziare davvero una carriera da libero professionista. 

assunzione in partita iva


Una buona risposta potrebbe essere quella di accettare, a condizione di poter lavorare a progetto e senza obbligo di presenza. Detto questo, non è nemmeno necessario che chiunque abbia voglia o intenzione di intraprendere una carriera in Partita Iva. Per questo non esiste una risposta corretta: dipende principalmente dai propri obiettivi personali, sempre che vengano rispettati i propri diritti.