Storie di partita IVA: Luigi Nigro, e l’autodeterminazione del freelance

Stefano Melli
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Fin da piccoli ci viene chiesto cosa vorremmo fare da grandi, come se fosse già dato per scontato che sarà il lavoro a renderci felici. C’è chi risponde il pilota di Formula1, chi la ballerina, chi il calciatore. Il filo conduttore è sempre quello della memorabilità, unita alla propria passione. Crescendo ovviamente si prende consapevolezza che le necessità ci pongono davanti a compromessi e non tutti siamo destinati alla serie A. 

Detto questo, dove sta davvero il senso di realizzazione personale? Dov’è il confine tra soddisfazione lavorativa e appagamento personale? Se è vero che non tutti coloro che hanno risposto “voglio fare il pilota in Moto GP” corrono nei circuiti più belli del mondo, è anche vero che uno strumento per seguire le proprie passioni esiste e si chiama partita IVA. Uno strumento di libertà per molti, visto o vissuto come una gabbia per alcuni. 

Abbiamo affrontato il tema con Luigi Nigro, esperto di marketing e comunicazione digitale, freelance e ambasciatore dello stile di vita “slow”. La sua è una storia di compromessi non accettati e di sforzi per trovare una dimensione dove poter vivere il lavoro come uno strumento di espressione, alla ricerca di un equilibrio personale che non sia mai dipendenti da terzi o dai ritmi della “società delle performance”.

Luigi, quali sono stati i tuoi primi passi nel mondo del lavoro?

“Dopo una prima esperienza lavorativa nel negozio di elettrodomestici di mio padre, dove ho maturato esperienza nel ruolo di tecnico, sono stato chiamato a fare il leader del team di produzione in una multinazionale. 

Quel mondo non mi piaceva, non mi convinceva la cultura aziendale: classica situazione in cui non puoi prendere ferie e si è tutti dei numeri al servizio di qualcuno. Anche i miei colleghi erano molto all’antica, gli mancava quel sano egoismo necessario a  autodeterminarci e accettavano tutto come fosse la normalità, cosa che in realtà era a tutti gli effetti. 

Era una normalità di cui rigettavo le dinamiche, ma ero l’unico, quindi mi sentivo sbagliato io. 

Ho iniziato a subire così tanto la vessazione emotiva che lasciare la fabbrica è stata la mia unica via di fuga. Stavo soffrendo , non sapevo cosa avrei fatto. Sapevo di avere il porto sicuro dell’azienda di mio padre, ma in realtà anche lì non mi sentivo al mio posto.

Ho deciso quindi di non fare più il tecnico e avendo iniziato a studiare psicologia e marketing ho deciso di investire su queste materie. È proprio in quel momento che ho capito cosa avrei voluto fare. 

Mi sono iscritto all’università con l’obiettivo di avere un titolo di studio in più, così da essere appetibile nel mercato del lavoro. Durante l’università ho continuato a fare colloqui, avevo 25 anni e non volevo fare stage, tirocini e cose del genere. Non mi ritenevo novellino, ma non riuscivo a trovare un posto di lavoro che mi potesse garantire le condizioni che cercavo.”

Come sei arrivato a occuparti di marketing in veste di freelance?

“Dopo la triennale, le mie ricerche di lavoro ancora non portavano i frutti che cercavo, quindi ho proseguito gli studi iscrivendomi alla magistrale nella speranza di creare un profilo lavorativo sempre più interessante.

Proprio in questo periodo è arrivata la mia prima occasione di lavorare nel settore senza passare da stage. Sono stato contattato da una startup che mi ha proposto il ruolo di marketing manager e la sfida mi emozionava molto. Anche questa volta però, non ho trovato un ambiente stimolante: pur essendo una startup, era comunque caratterizzata da quella mentalità lavorativa che reputo ormai superata. 

Nonostante avessi aperto partita Iva per poter ricoprire quella posizione, ho preferito staccare. Ho scelto di preoccuparmi di come fatturare piuttosto di come rispondere educatamente al mio capo. La partita IVA è stata l’ennesima via di fuga verso orizzonti nuovi, nella speranza di trovare il lido adatto a me.

La verità è che no ho mai trovato un capo che credesse in me in quanto persona e io non ho mai voluto essere un semplice elemento di un sistema che non mi rappresenta. Iniziò così la mia esperienza da freelance.”

Quando hai iniziato a sentirti appagato?

“Sicuramente quando sono riuscito a dedicare il mio tempo e la mia fatica in un contesto che fosse solamente mio. Infatti, lasciata la startup, ho iniziato a dedicarmi solamente alla crescita della mia community su Instagram, che già cominciava a prendere forma. Vendevo corsi, prodotti e servizi digitali. Ero in relazione con chi mi seguiva e da lì riuscivo a trovare occasioni lavorative.

Avevo ufficialmente smesso di essere dipendente da qualcuno a livello economico e avevo modo di dedicarmi a qualcosa che mi appassionasse per davvero, nelle modalità che mi piacevano.”

Cosa si intende per stile di vita “slow”?

“Vivere Slow significa poter prendersi il tempo per rilassarsi e riposarsi quando ne abbiamo voglia e bisogno, senza inficiare il proprio lavoro. È come avere un potere speciale che ci permette di trovare momenti di calma e tranquillità, anche quando ci sono tante cose da fare

Per vivere una vita Slow è importante sapere quali cose sono davvero importanti per noi, senza cadere nella trappola delle “urgenze”.  Chiaramente per raggiungere questa condizione di calma interiore bisogna avere un elevato grado di consapevolezza e di maturità, fattori fondamentali per capire quali clienti sono da considerare “rischiosi” e quali no. L’idea è appunto quella di avere sempre chiara la propria possibilità finanziaria e lavorare per mantenerla, senza diventare vittima delle proprie economics.

Vorrei chiarire che nella mia filosofia di Slow Life, il tempo da dedicare al lavoro è altrettanto importante, proprio per questo bisogna cercare di fare un lavoro efficiente, facendo le cose nel migliore dei modi possibili e prestando attenzione ai dettagli. La Slow Life non è solo relax, ma è una condizione di equilibrio tra lavoro e tempo libero, in cui mai nessuno diventa più importante dell’altro.

Quanto è importante per un freelance sapersi gestire finanziariamente? 

La gestione finanziaria è un aspetto fondamentale per un freelance e troppo spesso questo è delegato al proprio commercialista. Attenzione però: il commercialista si occupa delle finanze a livello legale, sistema il 730 e le carte, ma difficilmente aiuta il professionista a far crescere il proprio business.

Il business si basa sulle metriche economiche che ne indicano lo stato di salute: si può avere la sensazione che stia andando tutto bene, ma se i ricavi non superano le spese si chiude l’azienda. E troppo spesso le persone non conoscono la ripartizione dei costi rapportati al fatturato. 

Quando si sa dove si spende, si riesce a ottimizzare le uscite dove ci sono più sprechi. Si conoscono quali investimenti funzionano e su cosa puntare, così da poter guadagnare di più e poter finanziare il proprio stile di vita. 

Per vivere serenamente da freelance è fondamentale avere il controllo delle proprie economics. In caso contrario, non si ha la possibilità di difendersi da imprevisti e poter avere sotto controllo le proprie risorse è un importantissimo a livello psicologico. 

Il mio foglio di gestione economica ha una casella che si chiama: “quanti mesi puoi vivere senza lavorare?” E questo mi permette di essere rilassato: se un cliente mi rifiuta un preventivo non me la prendo male perché so che ho un tot di mesi per cui posso non lavorare e vivere tranquillamente.

Questo mi permette uno stile di vita “slow”, perché ho il controllo della situazione. Ovviamente questa condizione non ce l’avevo quando ho iniziato, ma ho lavorato sulla mia consapevolezza per arrivare a questo.”

Luigi nigro

Esiste per te una condizione migliore tra quella di freelance e quella di dipendente?

“No, in realtà. Esistono stili di vita e ognuno deve trovare quello in cui sta meglio, così da abbattere quanto più possibile lo stress legato al lavoro. Tutti i freelance che conosco sono fieri di esserlo, io stesso non sono nelle condizioni di dover tornare dipendente. Tuttavia non  ho nemmeno bisogno di diventare imprenditore. Io sto bene a questo livello e mi trovo a mio agio con il mio stile di vita.

Proprio questo è il vero punto che distingue il freelance da un dipendente. E non esiste una tipologia di lavoro migliore dell’altra, non è che il freelance sia meglio o peggio del dipendente o viceversa

Da freelance probabilmente ci sono più pensieri, come la formazione perpetua – quindi la competenza, la gestione del tempo e la reputazione. Questi sono tre assi da avere sempre sotto controllo: più la propria reputazione è alta e più è possibile monetizzare il proprio tempo, ma è necessario continuare ad aggiornarsi per rendere performanti i propri lavori e di conseguenza migliorare la propria reputazione

E tutto questo non deve essere visto come un disagio, semplicemente rientra nel discorso dello stile di vita: se si è pronti ad abbracciare questi impegni allora la vita da freelance è la soluzione migliore per potersi esprimere.